venerdì 4 gennaio 2008

Io pensavo...

Cercando di fare spazio tra un pandoro e un mazzo di carte, assolvo al mio piacevole dovere , seppur con un festeggiante ritardo, aggiornando il blog e parlando della pedagogia idealista.
L'autore di riferimento in questo escursus temporale è, rullo di tamburi, -3 -2 -1.... Buon Anno!...ah, no, scusate, cmq Auguri!, dicevo... l'autore è Johann Gottlieb Fichte.
Quasi contemporaneo di Kant, da quest'ultimo attinge molto nella sua preparazione teorica e proprio contro lui porta avanti quello che non è solo un attacco semplice di confutazione di idee ma è un attacco che rivoluziona il quadro mondiale di pensiero e di percezione del reale.
Il reale, appunto, o la natura, l'esistenza e l'essere fino a Kant incluso erano sempre stati pensati e posti come esterni all'uomo. La grande sfida era infatti conoscere questa realtà, trovarne gli strumenti di indagine, le tecniche, anche verbali, per poter argomentare riguardo l'essere e la sua verità e la sua certezza.
Questo aveva fatto anche Kant nelle sue critiche toccando però un tasto, molto delicato sin dalla sua ideazione, legato all'inconoscibilità di ciò che, svincolato dai sensi, ha comunque ragion d'essere. Appare chiaro come questa affermazione, per il suo carattere difficile da comprendere, non poteva far altro che generare conflitti. Kant stesso chiarì con fermezza che proprio il concetto limite della cosa in sé garantiva all'io penso di essere solo ed esclusivamente legislatore della natura e non il di lei creatore. Ruolo questo che però, nel tentativo di superare l'aporia di qualcosa non conoscibile ma esprimibile ed essente, viene arrogato da Fiche all'io.
L'io, nuova entità che la filosofia pensa e ammette nei suoi "manuali", risponde alla difficile concezione di quella cosa in sé inglobandola al suo interno e, facendo così, la connota di alcune caratteristiche, come l'essere infinito e l'essere creatore.
  • L'io è un ente infinito perché non ha limiti (anche quelli legati alla conoscenza);
  • L'io è un ente creatore perché l'unico modo per non avere limiti della conoscenza è nel creare ogni cosa così come l'unico modo per essere infinito è quello di porre i possibili limiti all'interno di sé.
Il limite, superabile, del discorso che stiamo facendo risiede nell'aver considerato, al momento, l'atto puro dell'io fichtiano. Come spieghiamo però la natura? La realtà che ci circonda? Certo non esterna, quindi interna all'io stesso. Ma se è interna, chi è che la crea? Chi altro, direi io, se non l'io poiché è un ente creatore?
Ricapitolando, abbiamo due momenti certi e uno che lo risolviamo subito:
  1. C'è solo l'io
  2. nell'io si pensa la materia
  3. (concludendo) è necessaria una dinamica incessante tra il primo e il secondo punto

Traduciamo quanto detto in un linguaggio propriamente filosofico e otteniamo tre momenti in cui l'io diviene realtà:
  1. TESI: l'io pone se stesso (ovvero l'ente infinito e creatore che dicevamo;
  2. ANTITESI: l'io genera in se stesso il non-io (ovvero genera il suo contrario, il contrario dell'essere creatore e infinito, quindi una cosa creata e finita che non può però sussistere esterna all'io stesso);
  3. SINTESI: L'io dipende dal non-io e il non-io dipende dall'io (questa è una dinamica necessaria per far sì che l'io non sia solo atto puro razionale ma che, da questo e nel confronto con la materia, diventi tutto realtà, natura).


Fin qui vi è la parte filosofica. In pedagogia?
Basta prendere i precedenti tre momenti, associare a questi tre componenti morali che sono, per la tesi l'il dovere assoluto nella libertà (ricorda molto Kant), per l'antitesi la materia, l'istinto, la società (ciò che rappresenta il contrario del dovere assoluto, dove tutto è invece condizionato da altre componenti esterne) e, per la dinamica tra io e non-io, l'autonomia morale segno però non solo di una semplice dinamica da di uno sforzo continuo che l'io deve compiere nei confronti del non-io per cercare di prevalere sempre e comunque.

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