lunedì 24 dicembre 2007

Buon Natale!

Tanti auguri, ragazzi e ragazze!

martedì 18 dicembre 2007

Sogno o son desto?

Che ne dite, concludiamo i post relativi al nostro carissimo Sigmund Freud?
Da parte mia sì...e da parte vostra?

(...aspetto in silenzio la vostra risposta...)
(...anzi, approfitto del tempo che ci state mettendo per rispondere per proporvi due brani relativi al sogno.
Il primo parla di un vero e proprio racconto onirico, dal carattere strano ed epico, contestualizzato nella seconda guerra mondiale, nella tragedia dei lager: la canzone è di Francesco De Gregori e si chiama Cercando un altro Egitto.









Il secondo brano è più un sogno ad occhi aperti, con forte valore pedagogico. La canzone, molto bella e intensa è di Roberto Vecchioni e si intitola Sogna, ragazzo, sogna. Poiché ho problemi con l'mp3 in questione, eccovi un video con musica e testo!


)

Bene, ora che tutti mi avete risposto, parliamo di un aspetto importantissimo del metodo psicoanalitico freudiano, metodo che sì trattiamo alla fine ma che è bene collocare all'inizio del suo lavoro clinico, ovvero nel biennio 1899 - 1900.
1899 perché è la data reale della scrittura di un testo considerato IL testo dell'opus freudiano, ovvero L'interpretazione dei Sogni;
1900 perché è la data in cui viene classificata l'uscita di questo saggio, per significarne il valore realmente epocale delle sue sue intuizioni.

Quali queste intuizioni, dunque?
Se ricordate, ne parlammo nel primo post, il sogno è uno di quegli elementi attraverso cui l'inconscio si esprime; il sogno, infatti, altro non è che la manifestazione dei nostri desideri inconsci, ovvero di tutto ciò che noi desideriamo (legato al grande spettro delle due pulsioni di base, eros e tanathos) positivo e negativo che sia.
Appare chiaro come quanto noi desideriamo non possa sempre esprimersi: alcune cose potrebbero essere di natura anti-sociale, altre di natura immorale o assolutamente inaccettabili dal nostro inconscio.
Però noi, mi confermerete, ricordiamo i sogni. Quindi, cosa ricordiamo di quanto sogniamo?
I sogni, ricapitolando, sono di due aspetti:
  • Nascosti o occulti - ovvero i veri sogni, quelli che forse non hanno neppure caratteristiche dimensionali a noi chiare ma che di chiaro hanno la forza pulsionale che definisce appieno il desiderio espresso;
  • Manifesti - cioè il sogno che ricordiamo e che effettivamente narriamo ai nostri amici, parenti e, nel caso clinico, all'analista.

Cosa genera questa differenza? E come noi possiamo ricordare quanto di vero sognato, visto che è così inconciliabile col nostro vivere quotidiano?
Da una parte, ovvero ciò che rende manifesto il sogno occulto, abbiamo la funzione censoria dell'Io che, poiché protagonista della nostra vita psichica, toglie quanto di più negativo e invivibile abbiamo nella nostra esperienza onirica e, filtrato, lo invia alla consapevolezza vigile. Dall'altra parte però, il sogno, nel suo essere raccontato, segue cinque criteri di narrazione che rendono la narrazione onirica così come tutti noi sappiamo essere. Questi criteri sono:
  1. la Condensazione
  2. lo Spostamento
  3. la Simbolizzazione
  4. la Drammatizzazione
  5. la Rappresentazione per Opposto.

La Condensazione riguarda quell'aspetto del sogno narrato tale che diversi elementi o situazioni tutte afferenti a qualche sentimento o emozione particolare vengano espresse mediante l'utilizzo di una sola figura che conserva la medesima carica emotiva. Tale processo può essere anche inverso, da un elemento a più aspetti di questo.
Lo Spostamento è quel particolare aspetto onirico che trasla l'attenzione che noi riferiamo a singoli aspetti del racconto verso altri aspetti all'interno del sogno stesso.
La Simbolizzazione è l'utilizzo dei simboli, ovvero dei segni fisici a cui noi, per convenzione e accettazione, diamo significati particolari. Ricordate il sogno letto in classe della donna all'opera?
La Drammatizzazione è quella tecnica narrativa che il sogno stesso usa per accrescere la tensione emotiva relativa agli eventi raccontati; un caso è il volume della pipì nel sogno della badante che accresce angosciosamente e che finisce per svegliare la sognante, ovvero la badante stessa.
La Rappresentazione per opposto è invece il raccontare all'opposto il sogno sognato. Il sogno raccontato della vicinanza di una persona può invece essere il sogno sognato della sua privazione e mancanza.

Detto questo, vi affido e mi affido a Morfeo e vi saluto!

mercoledì 12 dicembre 2007

Una topica tira l'altra

Non c'è due senza tre, dicono gli idraulici a Parigi... ma noi che, molto più modestamente, studiamo Psicologia e Pedagogia in quel del Nobel possiamo tranquillamente recitare che "non c'è uno senza due"!
Si parla ovviamente delle topiche di Sigmund Freud. Quelle tripartizioni a carattere dimensionale che abbiamo già potuto osservare nel post precedente quando parlammo di Prima Topica.


Cosa cambiò nella testolina del nostro Freud per rinnovare l'impianto della Topica? Scoccò l'anno 1922 (era il 1922 Serenella, come giustamente indicavano anche i vari libri a riguardo... errore mio di cui mi scuso) e Freud diede alle stampe L'Es e l'Io, saggio complesso ma breve che ribaltava un po' di cosette che già erano state devastanti per la cultura di mezza Europa.
Veniva infatti rivalutata la netta divisione tra le istanze psicologiche fondanti la prima topica dando un nuovo valore all'inconscio che, non essendo più connotato in ottica descrittiva viene anche menzionato come istanza latente lo stato conscio e, poiché sempre presente, influenzante qualsiasi nostra attività sociale; noi siamo molto più inconsciamente consci (o consciamente inconsci?) di quanto sembra.
Questo rinnovato inconscio, pieno come il precedente delle pulsioni di base (eros e tanathos), del materiale rimosso e del passato stratificato, si carica anche di quel senso di istintività che ci accomuna con gran parte del mondo animale, sarà chiamato ES.
Il vecchio conscio, che certo non lo si metterà in pensione, viene ribattezzato IO e a lui si attribuirà il grandissimo compito di essere il protagonista (consapevole o no) della vita psichica di ogni essere umano; a lui spetta il compito di vivere così come di azionare i meccanismi di difesa.
ES e IO sono così in piena comunicazione ma vengono vincolati (per nostra fortuna) da una terza istanza, a carattere normativo, etico-morale, valoriale denominata SUPER-IO; esso altro non è che l'interiorizzazione nella nostra coscienza di tutti quegli elementi eteronomi che guidano le nostre azioni, dalle leggi ai comandamenti, al valore del rispetto, alla buona educazione e così via.
ES, IO e SUPER-IO formano così la Seconda Topica, ovvero una seconda tripartizione psichica che però può toccare anche la personalità dell'uomo come essere vivente nella società.

Di indubbio valore teorico è anche la teoria, legata alla genesi delle istanza formanti la seconda topica, dello sviluppo psico-sessuale del bambino che, con Freud, perde ogni connotato angelico divenendo un essere polimorfo e perverso.
Polimorfo perché assume diverse forme, ovvero diverse modalità di esternalizzare la sua crescita sepsso legate a fattori corporei; Perverso perché nel crescere, utilizzerà sempre quella parte che darà lui estremo piacere, un piacere però ancestrale ben diverso da quello che esperiamo noi adulti.
Cinque fasi, zone erogene a gogò, compiti di sviluppo importantissimi: ecco gli ingredienti per una sana e corretta crescita psico-sessuale di qualsiasi persona. Andiamo però nel dettaglio:
  1. Fase Orale (0-1 anno) - La zona erogena è la bocca (labbra e lingua) e il compito di sviluppo è lo svezzamento. Capite bene come il bambino, per crescere entra da subito in contatto con il seno materno e successivamente porta alla bocca qualsiasi oggetto per conoscerlo;
  2. Fase Anale (2-3 anni) - La zona erogena è l'ano (con le sue mucose) e il compito di sviluppo è rappresentato nel controllo degli sfinteri. Il saper gestire il bisogno legato alla produzione di feci è immagine diretta di una crescita anche in ottica sociale e di responsabilità del bambino;
  3. Fase Fallica (4-5 anni) - La zona erogena è quella genitale e il compito di sviluppo è la risoluzione del Complesso di Edipo (vedi il libro di testo a riguardo). Avviene in questa fase la piena accettazione dei ruoli familiari come legati prevalentemente all'affetto (genitore del sesso opposto) o legati all'autorità/rispetto (genitore dello stesso sesso). Qui si concretizza il principio di realtà già introdotto nel primo anno di vita e si struttura una coscienza morale significativa;
  4. Periodo di Latenza (6-11 anni) - In questa fase non vi è una zona erogena specifica e anzi, vi è una forte riduzione delle pulsioni erotiche. Il bambino ha infatti bisogno di tempo per ristrutturare le fasi precedenti e attivare, come compito di sviluppo, i meccanismi di difesa;
  5. Fase Genitale (12-18 anni) - la zona erogenza è quella dei genitali e il compito di sviluppo è il raggiungimento di una sessualità matura. Non basta solo avere una prima tipizzazione sessuale che già compare nella fase fallica, bensì serve scoprire il proprio genere (questione sociale) oltre che il proprio sesso (questione biologica), il proprio oggetto di desiderio sessuale nonché stabilire dei legami stabili e significativi con la persona che viene scelta.

Manca poco per la conclusione di Freud, un post solo, legato ai sogni... e proprio sognando, vi saluto!

martedì 20 novembre 2007

Anna dai capelli O.

Cosa lega una donna (e smettetela immediatamente con i doppi sensi!) a più uomini, medici e uomini di scienza, in un filo diretto con la concreta scoperta della sua parte più intima (ho detto basta...) e più afferente alla sfera sessuale (...stavolta avete passato il limite!)?


Se dietro ogni uomo c'è sempre una donna, dietro Anna O., Bertha Pappenheim, ce ne sono tre, come ricordavamo. Il primo, pur senza averla conosciuta, ha dato ai successivi due luminari il metodo di studiare quel tipo di malattia, conosciuta col nome di Isteria, senza ricorrere più a eziologie e pratiche curative di stampo organico: stiamo parlando dell'esimio dottor Jean-Martin Charcot, direttore e neurologo dell'ospizio della Salpêtrière a Parigi; quest'ultimo contribuì attivamente, attraverso il suo famoso metodo ipnotico, a spalancare, nella persona in analisi, parte dell'universo nascosto allo stato vigile e invalicabile per causa di resistenze coscienti. Tramite l'ipnosi, Charcot fu così il ponte di comunicazione tra Freud, da lui tirocinante, e Breuer, successivamente tutor del nostro Sigmund.
La medesima donna di cui sopra, infatti, fu curata attraverso il metodo ipnotico da Joseph Breuer il quale, nel corso di una seduta, si trovò di fronte una sorta di autoguarigione da un disagio funzionale associato all'isteria, ovvero dall'idrofobia che manifestava la paziente a seguito, come lei stessa ammetterà in ipnosi, di una visione spiacevole (un cagnolino di una antipatica dama di compagnia che beveva in un bicchiere sopra il tavolo, che orrore!). Questa reminiscenza fa capire a Breuer come un disagio organico-funzionale possa essere causato da qualcosa avvenuto nel passato e, una volta reso presente e presentato, come una purificazione, all'altare dell'analista, risolto al meglio. Viene inaugurato così il metodo catartico, poiché si voleva purificare la persona da quanto vi potesse essere di scomodo nel passato del suo vissuto.
Fin qui Freud stava a guardare (ho detto stop ai doppi sensi...). Decise di intervenire perché coinvolto dallo stesso Breuer che si trovava in difficoltà (...) a causa dell'eccessivo ardire della carissima Anna O. che, per dirla alla romana, ci provava a manetta.
Sigmund Freud, che vide i natali a Freiberg, in Moravia, nel 1856, aveva iniziato a capire qualcosa. Intanto non bastava solo purificare il passato, ma entrarne pienamente a contatto e non per pulirlo, ma per risolverlo; poi si interrogò sul dove potevano essere posti questi ricordi o fatti traumatici. Infine, questo strano attaccamenento della paziente verso l'analista, non era solo normale, ma anche essenziale per la cura della malattia psichica.
Stiamo parlando della genesi del concetto di Transfert, ovvero del trasferimento delle ambivalenze contenute nella psiche del pazienza (della paziente in questo caso) verso l'analista, che diventa così rappresentante psichico esterno nel grande teatro del conflitto psicologico tra paziente e paziente.

Freud allora ribalta il metodo catartico-ipnotico in virtù di un altro metodo chiamato metodo psicoanalitico che si basa essenzialmente sul rifiuto dell'ipnosi come metodo per render quiete le difese, in virtù del colloquio, semplice, diretto, continuo e comodo perché esperito sopra un lettino.
Resta la questione degli eventi presenti nel passato. Cosa sono? Dove sono? Soprattutto, come diavolo ci sono finiti questi eventi in questo dove ancora da definire?
Sì signori e signore, stiamo parlando del famoso approccio topico di Freud (e smettetela, che siete grandi!).
Gli eventi che noi, nella fase dello sviluppo, reputiamo scomodi, pericolosi, dannosi, ambivalenti (perché potrebbero essere anche positivi questi eventi, figure, sensazioni) vengono spostati, grazie a dei meccanismi di difesa, in quel grande recipiente altrimenti chiamato inconscio.
Certo sono in buona compagnia perché, assieme ad essi, vi si trovano anche quelle pulsioni di base, utili più avanti, dell'eros e del tanathos nonché un passato che si potrebbe definire stratificato.
Che rapporto ha però l'inconscio con il nostro essere uomini coscienti che vivono?
Da quanto vediamo nelle malattie direi problematico; eppure, nella prima topica freudiana, inconscio e conscio sembrano essere molto separati l'uno dall'altro e comunicano solo in maniera asimmetrica: il conscio può rimuovere nell'inconscio quegli elementi problematici di cui parlavamo; l'inconscio lascia affacciare, tramite percezioni e sensazioni, solo alcuni piccoli elementi dal suo interno. Sarà il preconscio a mettere a disposizioni questi elementi per l'azione critica e attiva del conscio.
Per capire cosa è questo sistema di Percezione-Sensazione, pensiamo ad esempio a ciò che di evidente può generare una turba psichica non pienamente rimossa o che il rimosso torna allo stato latente, nel preconscio; oppure ai famosissimi lapsus (sostituzioni od omissioni verbali-comportamentali); particolare attenzione meritano le associazioni libere, ovvero i collegamenti tra evento passato e momento presente o le costanti linguistiche nel racconto clinico, e i sogni a cui Freud dedicherà un testo fondamentale perché all'Interpretazione dei Sogni del 1899 corrisponderà la nascita ufficiale della psicoanalisi.

Ricapitolo per gli onori di cronaca una cosa che dovete sapere a memoria:
La prima topica teorizzata da Freud è una tripartizione della psiche umana strutturata in conscio, inconscio e preconscio.

A presto per la seconda topica e altre belle cosettine ;)

martedì 30 ottobre 2007

CIAK... Azione!

Concludiamo i post sul nostro ormai amato (?!) Immanuel Kant con la sua opera del 1788, altrimenti detta Critica della Ragion Pratica.
Cosa c'entra il titolo con il testo in questione e soprattutto con l'argomento di cui, con terrore e preoccupazione, vi apprestate a leggere?


Dopo la consueta immagine, posso rispondervi ;)

Nella scorsa lezione abbiamo definito la CRPr una ragione per l'azione. Non cinematografica ovvio, ma quello è il gusto della metafora.
Compare nuovamente il termine ragione; questo vuol significare che ogni partenza deve avere il mondo noumenico come cominciamento perché, ricordiamoci la CRP, dobbiamo sempre cercare di individuare qualcosa che è Universale e Necessario.
Però Kant non si ferma al mondo noumenico, o compie un criticismo solo ed esclusivamente che vada a problematizzare sulla modalità della nostra conoscenza morale; non dobbiamo fare una Critica della Ragion Pura Pratica!
Serve, quindi, qualcosa che sia realmente pratico ovvero, per dirla con il filosofo di Königsberg, non serve tanto una metafisica morale, quanto una morale legata a un uomo pensante, pur se finito.
Cosa fa però l'uomo pensante? La bella statuina? No, ovviamente... L'uomo pensante agisce, si muove e si comporta in una certa maniera. L'azione filosofica è allora quella di investigare non tanto il cosa dell'azione (l'atto pratico in sé) bensì il perché un soggetto agisce, ovvero le intenzioni legate alla singola volontà.
La CRPr è quindi una ragione per l'azione di un soggetto che è finito, ovvero che presenta dei limiti, dei confini: pensiamo alla mortalità, così come agli istinti che tanto bravi non ci fanno essere, ma anche al mondo che ci circonda con il quale si relazioniamo.
Che fare allora? Facciamo gli eremiti o gli orsi, lontani da tutto e da tutti, visto che siamo e resteremo finiti e quindi mai e poi mai potremo essere perfetti moralmente?
....No!
La moralità, infatti, è strettamente collegata (quasi dire la stessa cosa) con l'incondizionatezza, ovvero con la possibilità di essere svincolati dai legami che ci mettono nei guai o in maniera assoluta oppure, rimboccandoci le maniche, spetta a noi il compito di de-condizionarci. Allora capiamo di non essere semplici animali (con tutto il rispetto) ma in più di loro abbiamo la libertà, che per Kant rappresenta addirittura il Primo Postulato della Vita Etica perché consente all'uomo di autodeterminarsi, occupando un posto eticamente prioritario nella società. Ovviamente è necessario che tutti dobbiamo essere liberi e questo non può che essere così. La moralità deve avere quindi un carattere universale e necessario.
Ora, come se fosse un gioco, provate a ricostruire il periodo che vi ho scritto sopra partendo dalla fine, ovvero dall'universale e necessario, mantenendo lo stesso originale significato e date la risposta scrivendola nei commenti. Vale come giudizio scritto!

Tirando le somme, la moralità ci dice come bisogna comportarci e la volontà ci suggerisce come vorremmo comportaci. Chi vince?
Vince il rapporto tra Ragione (mondo noumenico) e Sensibilità (mondo fenomenico), ovvero vince il dovere, che deve (guarda caso) assumere sempre più uguaglianza con la volontà, con il fine della moralità.
Il cocktail Volontà&Dovere genera due diramazioni che hanno una valore soggettivo, l'altra oggettivo. La soggettività si chiama Massima ed è un po' il motto della nostra giornata quando ci alziamo. Può valere solo per noi, non certo per tutti.
L'oggettività del suddetto cocktail la troviamo nei cosiddetti imperativi (etimologicamente: comando) che ci istruiscono riguardo un comportamento da tenere o con una premessa ipotetica iniziale che conduce al fine stabilito o in maniera assoluta.
Gli imperativi così possono essere: ipotetici (espressi dalla formula Se... allora devi: Se voglio prendere un bel voto allora devo studiare) oppure Categorici (espressi dalla formula Devi: Devi timbrare il biglietto sull'autobus).
Non basta però: un terzo esempio di imperativi è rappresentato dalle Massime (queste però a carattere oggettivo), ovvero delle formulazioni (frasi) che conducono pian piano il soggetto al sempre presente fine della CRPr, ovvero l'autonomia morale.
Sono tre, una dalla suddetta critica e le altre due estrapolate dalla FMC e recitano questo:
  1. Agisci in modo che la massima della tua volontà possa sempre valere nello stesso tempo come principio di una legislazione universale

  2. Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona che in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo

  3. La volontà, in base alla massima, possa considerare contemporaneamente se stessa come universalmente legislatrice

Mica male, no?
La prima ci indica come ogni nostra azione deve partire sì da una massima della nostra volontà (un nostro pensiero) ma che questo, per avere valore oggettivo, dovrebbe essere posto come legge universale, come ordinamento valido per tutti. Fate un po' voi cosa potrebbe accadere se uno pensa di fare il male... quindi, al massimo il male si può pensare, per Kant, non certo farlo!
La seconda rivoluzione il vedere la figura dell'umanità (e quindi di se stessi) che passa dall'essere solo un mezzo attraverso cui raggiungere dei fini, spesso sporchi, a fine stesso, ovvero al bene comune, al bene dell'umanità.
La terza, sintesi dell'autonomia morale, ci indica come ci deve essere una forte identità tra la mia massima e ciò che in me diviene legge universale: non c'è più divisione o necessità di ricorrere a entità esterne. Ho tutto dentro di me, libertà, dovere e legge universale: ho l'autonomia morale.
Io stesso divento legislatore della morale.

Kant così ha compiuto un'ulteriore rivoluzione: dopo quella della conoscenza, con l'Io Penso ha rivoluzionato anche la morale ponendo nell'uomo la capacità di autolegiferarsi in maniera universale e necessaria.

Se tutto questo vi può sembrare un'utopia (e forse lo è, ma voi non dite in giro che l'ho detto) ricordate sempre il valore della pedagogia, ovvero un'arte perché consente all'uomo di migliorare sempre, sempre, sempre......

Disciplina ragazzo, disciplina!

Chi ha avuto la fortuna (?) di assistere alla piccola terapia di gruppo che la classe, molto gentilmente, ha rivolto con l'ascolto ad un povero e senza voce professore (io, appunto) ha ben capito quanto possa amare Kant quando parla della disciplina come conditio sine qua non per un cultura e una coscienza morale che pian piano si acquisisce nella formazione di una persona.


Facciamo un passo indietro però. Perché parlare di disciplina? Cosa si intende per coscienza morale? Chi parla di questo?
Il soggettone in questione è , ovviamente, Kant; sì, lo stesso Kant che ha martorizzato la nostra capacità cognitiva e che, con questi ultimi due post (il secondo sarà sulla Critica della Ragion Pratica), concluderà la sua spirituale presenza nelle mie spiegazioni, lasciando posto ad altri pedagogisti.
Siamo nel 1803: alcuni suoi studenti decidono di raccogliere gli appunti delle sue spiegazioni creandone così un libello che verrà sottoposto al giudizio di Kant. Questi ne apporta piccole modifiche e viene così pubblicato. Esce quindi Ubër Pädagogik, da noi tradotto come La Pedagogia.
Non ci sono grandissime innovazioni, è bene dirlo subito. Però in questo libello Kant compie una conferma e un riassunto di quanto espresso nella sua precedente grande opera che è la Cirtica della Ragion Pratica.
L'obiettivo è lo stesso, infatti: l'autonomia morale.
Come raggiungerla però? Come far sì che il bambino, una volta cresciuto e formato, sappia trovare in sé le leggi che regolamentino il suo corretto agire? Come far sì che la persona educata sia legislatrice della sua stessa morale?
A mò di raggiera, ecco allora collegarsi alla pedagogia alcune diramazioni, che qui elenco per comodità di esposizione:

  • La pedagogia è o fisica o pratica, ovvero o contempla il semplice comportamento legato all'uscita dall'istinto, con le cure del caso che si debbono a lui rivolgere (è il caso della pedagogia fisica) oppure deve interessarsi della personalità dell'educando, dei suoi atteggiamenti e delle sue disposizioni (è il caso di quella pratica);

  • La pedagogia si esplicita tramite un processo educativo che va a cercare tre aspetti della cultura: la prima, legata alla sfera scolastica ovvero il rapporto tra insegnante e discente in un clima di insegnamento, spesso catechetico, la seconda alla sfera pragmatica e quindi afferire al campo della prudenza, i comportamenti iniziali che un precettore o un genitore può dare e, last but not last, alla sfera della moralità con il fine di formare una coscienza morale.

  • La pedagogia muove i primi passi nell'Eteronomia, affidando la propria capacità disciplinare o a un precettore o a leggi e regole esterne, per poi necessariamente divenire Autonoma;

  • Componenti della filosofia dell'educazione alla base della pedagogia sono dunque:
    1. La Disciplina - ovvero la base di ogni cosa, quella che ci preserva dalla selvatichezza in favore dell'umanità, quella senza la quale noi mai e poi mai potremmo essere in seguito acculturati ed educati. Un monolite imprenscindibile!

    2. La Cultura - Ovvero l'istruzione e la formazione attraverso cui un bambino è dapprima infante, educando e scolaro; È il grado dove si può esperire un tipo di istruzione catechetica, ovvero dove si danno le nozioni di base per crescere al fine dell'autonomia personale. Appare chiaro, e se non lo è ve lo dico io, che non c'è il livello della cultura senza che sia completato prima quello della disciplina!

    3. L'Educazione permette al ragazzo (forse già uomo) disciplinato e formato di poter entrare nella società, dandogli quindi tutte le base necessarie per entrare in un mondo del lavoro e relazionarsi, nel totale essere disciplinati (nella CRPr vedremo come questo diviene un imperativo), con gli altri.

    4. La Moralità, ovvero il raggiungimento, tramite un approccio socratico (basato sul dialogo) possibile poiché la persona diviene più grande, della propria autonoma coscienza morale dove trovare tutte le leggi interne che gli consentono di auto-regolamentarsi in qualsiasi situazione si trovi e che gli permettano di fare una politica finalizzata al sommo bene ovvero al bene comune.


Vedete quindi come appare affascinante e seriamente concreto questo tipo di percorso.
Vedremo nel successivo posto come la moralità si intrecci necessariamente al dovere (richiamo alla disciplina della Pedagogia) e all'espressione della massima della propria volontà, ovvero (semplificando) all'espressione della propria volontà.

Concludo dicendo che alla vostra destra, nel box del Materiale Utile, potete trovare la mappa concettuale sulla Pedagogia di Kant!

Ciao ciao ;)

lunedì 15 ottobre 2007

Kant a giudizio!

"L'imputato Immanuel Kant si alzi e si difenda in giudizio, facendoci conoscere le sue tesi"!
Possibile questo, perché attraverso i suoi giudizi, estremamente accattivanti e complessi nei loro modi di essere concepiti, ci farebbero capire non solo una cosa pratica e immediata, bensì ci farebbero comprendere quali sono i meccanismi che regolano il modo di pensare comune a tutti gli individui del mondo, piccoli e grandi che siano. E che ci consentano di dire: "sì, questa cosa è così per me e per te, anche se poi io e te facciamo due esperienze apparentemente e materialmente diverse".

Come al solito, però, andiamo per ordine e torniamo indietro all'inizio della nostra lezione.
La divisione tra i giudizi sintetici a posteriori, molto in voga tra gli empiristi, e i giudizi analitici a priori, che riscuotevano ampi consensi tra i razionalisti, trova la sua risoluzione e mediazione tramite il Criticismo e Kant stesso che propone, in ottica di capire se sia possibile la conoscenza di qualcosa (sintetizzando l'esperienza e compiendo così un giudizio, ovvero unendo un soggetto ad un predicato così da darci sempre informazioni maggiori e in più) in maniera universale e necessaria (a priori di ogni singola esperienza, ovvero valida per tutti perché avviene prima, altrove) i famosissimi giudizi sintetici a priori.
Ma cosa è sintetico o a priori per noi?
La conoscenza, ci dice Kant all'interno della sua CRP si divide in quella sensibile e in quella intellegibile; ora, la prima, il fenomeno, è ciò che è a sua volta scissa in materia e forma; la materia è ciò che appare ai nostri sensi nell'esperienza diretta mentre la forma è la legge che regolamenta l'esperienza ovvero la capacità di modellare i molteplici dati dell'esperienza in qualcosa di universale e conoscibile. Chiaro è che questo aspetto universale richiama, internamente, l'intellegibilità della conoscenza, ovvero l'aspetto noumenico, ovvero la cosa in sp che però, poiché svincolata dall'esperienza sensista, resta a noi un concetto-limite, qualcosa, cioè, di inconoscibile.
Se dunque nell'apparenza noi troviamo la risposta alla domanda su cosa fosse l'aspetto sintetico del giudizio, dove dunque ricaviamo la risposta sull'a priori?
Chiaramente nella forma che, poiché deve modellare qualsiasi singola esperienza, deve avere criteri modellanti universali, ovvero condivisi per tutti, e necessari, cioè che non posso che avere determinate funzioni.
Quali sono, infine, queste forme? Quali questi criteri che modellano, in noi, la confusa esperienza esterna?
Sì, avete capito: Spazio e Tempo.
Pensateci bene. Ogni volta che noi acquisiamo un dato nuovo, vediamo orizzonti nuovi, oppure ogni volta che un bambino conosce per la prima volta una persona, forse non filtriamo l'esperienza esterna dapprima dando una dimensione esterna, un dire: "Guarda quant'è grande, piccolo, immenso" oppure interna, pensando come questo dato nuovo possa inserirsi prima o dopo un altro evento, un'altra impressione che abbiamo nella nostra memoria così che poi possiamo facilmente richiamarle in gioco?
Spazio e Tempo sono i famosi occhiali dalle lenti colorate con cui possiamo vedere, diversamente, il mondo.
Noi possiamo vedere diversamente il mondo perché le leggi che regolamento le esperienze sono in noi.
Ecco la grande rivoluzione copernicana Kantiana. Non è più la natura ad avere regole a cui noi possiamo al massimo accostarci, ma siamo noi a dare il senso dimensionale al mondo. Noi tutti siamo, perciò, IO PENSO, perché col nostro pensiero permettiamo la conoscenza del mondo.
Ma allora Kant era un razionalista, per cui tutto avviene nella nostra mente e la natura, l'oggetto della nostra conoscenza, è una cosa superflua che avviene solo dopo che noi abbiamo predisposto il filtraggio?
Ebbene no.
Spazio e Tempo sono categorie trascendentali, ovvero compaiono, in funzione di filtro, solo nei limiti dell'esperienza, ovvero solo quando vi è esatta corrispondenza e biunivocità tra soggetto e oggetto.
Se vi fosse solo il soggetto che pensa, non ci sarebbe una realtà definita;
se vi fosse solo la realtà, rimarrebbe vaga e non-pensata, quindi forse neppure esisterebbe;
la conoscenza vi è solo quando soggetto e oggetto si incontrano.
Allora vengono messi in gioco quelle forme, leggi, schematismi o filtri a priori che sono Spazio e Tempo più, ora possiamo dirlo, le 12 categorie che, come cassettiere mentali (lo dice proprio Kant), ordinano l'esperienza filtrata.

Sicuramente complesso ma anche affascinante, la parte relativa al pensiero teorico di Immanuel Kant si chiude qui. Spero di riuscire, come al solito, a condensare quanto detto in una mappa concettuale ma non vi prometto nulla soprattutto per mancanza di tempo.
A presto per la Pedagogia e la Critica della Ragion Pratica. Non vi spaventate, il brutto è passato!

Ciao ciao

lunedì 8 ottobre 2007

Kant, il criticone!

Secondo post del giorno: Introduzione al pensiero di Kant. Siete pronti? Bene!

Tutto ebbe inizio nella preistoria del pensiero filosofico quando, alcuni soggetti ben identificati, si iniziarono a domandare il perché delle cose, il perché della loro esistenza e se tutto esiste o si può dire che qualcosa non esiste. Questo, si chiamerà in seguito, è il pensiero ontologico, poiché strettamente connesso all'essere, alla sostanza delle cose oltre il semplice dato sensista (basato sui sensi, sulle percezioni).
Il problema ontologico divenne, senza mai abbandonare il primo aspetto, anche un problema gnoseologico perché legato alla conoscenza. Come si può conoscere il reale, la natura? Da cosa dipende questa conoscenza? Da noi? Dalla natura? Quali sono le caratteristiche (di mio possesso o che trovo negli oggetti) che mi consentono di conoscere il reale?
Problemi non semplici, come potete aver capito!
Nel corso dei secoli sono date a questi due problemi in generale molteplici interpretazioni. Dall'archetipo acqua (Talete) a Dio come primo motore immobile (Aristotele e San Tommaso), dalla ricerca del bene in noi (Socrate) alla verità immutabile delle idee (Platone) e così via.
Giungendo però a tempi più vicini al nostro filosofo, Immanuel Kant (1724-1804), una periodizzazione ormai approssimativa, ma utile al nostro scopo, divide in due momenti la storia del XVII-XVIII secolo: il confronto tra Razionalisti ed Empiristi.
Tra gli esponenti dei primi troviamo Leibniz, Spinoza e, soprattutto, Renè Descartes, ovvero Cartesio; tra i secondi spiccano Locke, Berkley e David Hume.
  • I razionalisti davano un forte valore alla ragione, capace di poter assumere ogni conoscenza senza la benché minima mediazione dell'esperienza basata sui sensi. Questo, estremizzando, portò al Dogmatismo, ovvero a credere alle strutture interne mentali e alla loro spendibilità scientifica (come la matematica o la metafisica) senza verificarne la veridicità di tale assunto, come di fatto prevede ogni statuto scientifico, col confronto dell'esperienza. L'esperienza era desunta, dedotta, da leggi generali universali.

  • Gli empiristi vedono nell'esperienza sensista l'unica vera condizione di conoscenza e per induzione ricavano le leggi generali che governano il mondo. Però si accorgono che una di queste leggi generali, il principio di causa/effetto non è appartenente all'uomo come struttura interna bensì agli oggetti, al mondo esterno. Questa prospettiva (forse a noi un po' strana, ma in realtà corrispondente a quanto era comunemente pensato allora) rivela che tutto quello che conosciamo, lo conosciamo perché ciò accade da molto tempo: ne siamo, quindi, abituati. L'abitudine però non è cosa certa perché può essere imprevedibile: non sempre può sorgere il sole o una palla da biliardo, se lanciata verso un'altra, provochi comunque il movimento di quest'ultima. Lo scetticismo è la caratteristica (contemplata da Hume) dell'empirismo.
Kant in tutto questo dov'è? Il filosofo di Königsberg è presente nella mediazione che compie tra i razionalisti e gli empiristi prendendo, ora dall'uno ora dall'altro gli aspetti positivi della loro filosofia.
L'esperienza è ineliminabile per conoscere (punto di vista empirico) ma è necessario capire come possa essere possibile la conoscenza universale (valida per tutti e per sempre, caratteristica dei razionalisti) senza l'esperienza diretta.
Questo punto di vista è la caratteristica primaria del pensiero filosofico di Kant e della corrente di pensiero da lui introdotta del Criticismo.
Nella prossima lezione approfondiremo ancora un minimo la questione del Criticismo, con particolare riferimento alla dissertazione del 1770 De mundi sensibilis atque intellegibilis forma et principii e alla Critica della Ragion Pura del 1781/87, introducendo i vari tipi di giudizi, lo schematismo trascendentale e un accenno nominale alle categorie, per poi passare, finalmente, al problema morale e pedagogico.

Troverete inoltre la mappa concettuale relativa a quanto detto qui sopra.
Perdonate i possibili refusi di stampa, sperando che concettualmente sia tutto chiaro, sebbene complesso!
Commentate gente, commentate!

Una pietra miliare

Vi do il bentrovato con due post importanti: uno, il presente, dove diamo l'ufficiale chiusura (che non significa completezza) alle lezioni sulla definizione della Pedagogia; l'altro, il prossimo, inquadreremo il pensiero filosofico di Kant (da dove viene e che cosa ci dice) così da prepararci a quello pedagogico, argomento delle prossime lezioni.

Veniamo quindi alla chiusura della Pedagogia, argomento del presente post.
Un'attenta riflessione ci ha portati a dire (in seduta condivisa, seppur non comune, tra i due quinti che all'educazione mancavano sia i punti di riferimento (già citati nel precedente articolo) sia il ruolo ormai dominante delle tecnologie di massa, altrimenti definite con l'acronimo di ICT, ovvero Tecnologie di Informazione e Comunicazione.
Dopotutto, le ITC rappresentano quello che tentavo di dirvi riguardo la sfida che l'educazione già compie nei confronti della tecnologia ormai imperante e dilagante in ogni ambito sociale.
Tecnologia (informatica, poiché il libro o l'alfabeto sono già loro tecnologie) che è divenuta, a tutti gli effetti, una nuova agenzia educativa che bisogna tenere in una piena considerazione e riflessione teorica. Con Cambi e Flores D'Arcais, possiamo dire che per rispondere alla nuova sfida che l'educazione sta affrontando dobbiamo compiere una Pedagogia delle ICT.

PS
L'aggiornamento della mappa concettuale e una razionalizzazione dello spazio da cui attingere i preziosi materiali sono compiuti.
Sulla destra noterete, oltre al mio solito faccione, tre cartelle che andranno pian piano a riempirsi di materiale.
Navigatele e scaricate tutto ciò che vi metterò online. COMMENTATE anche, già che ci siete!

Buon lavoro ;)

venerdì 5 ottobre 2007

La Pedagogia in(de)finita

Giusto infinita, mi verrebbe da dire!
Sì perché, grazie al contributo di un nuovo arrivato nella classe VC, si è dovuto ritoccare ulteriormente la mappa concettuale relativa alla definizione della Pedagogia aumentando così le caratteristiche del termine Educazione.
Ci si è resi conto che effettivamente privare l'educazione (anche degli adulti) di punti di riferimento era qualcosa di errato. Perché a differenza dei bambini, i punti di riferimento per un adulto possono essere non solo conreti ma anche e soprattutto formali (pensate sempre a Piaget) e quindi associati ad un ideale, una figura non più tra noi, una canzone, un articolo, un libro, un motto di vita, un brano evangelico e così via.

In parole povere troverete la mappa aggiornata sempre nel box a destra, pronta da stampare e da studiare con gli appunti presi in classe.

Ciao ciao :)

venerdì 28 settembre 2007

Definire...ma non finire!


L'avete capito oramai!
...come cosa? La bellezza e la difficoltà della materia!
Lo so cosa mi starete dicendo (e ometto per discrezione gli insulti)... ma superiamo queste prime difficoltà perché tanto ne arriveranno altre!

Scherzi a parte, la lezione di oggi è stato un esempio di mutuo insegnamento che presto ci ritroveremo a trattare in pedagogia. Io ho sì insegnato voi qualcosa ma anche voi avete contribuito alla piena riuscita della lezione con i vostri ottimi interventi. Che, come già detto in classe, hanno ampliato ulteriormente i campi relativi all'Educazione e al Bambino già identificati dall'altra quinta (i programmi, non è un segreto, procedono in contemporanea fin quando possibile).
Se dovessimo fare un bilancio generale potremmo dire che la Pedagogia riflette teoricamente su tutti quegli atti pratici che l'Educazione prevede al suo interno col fine di formare dapprima il bambino ma anche e soprattutto l'uomo (come essere umano) nella sua totalità. Il pedagogista ha anche il compito, poiché educatore, di essere lui stesso azione formativa all'interno dell'ambiente di riferimento in cui vive, lavora e si relazione con gli altri.
Questa frase è un po' il sunto dei due saggi che vi ho dato in classe e del lavoro svolto assieme.

Il lavoro aggiornato e integrato dei contributi dell'altra quinta lo troverete nel box download qui sulla destra.
Attendo ovviamente commenti di approvazione o critica (sempre costruttiva) sul lavoro svolto nonché domande di comprensione o richieste d'aiuto, nonché un semplice parlare purché sia sempre pedagogicamente inteso!

Ciao a tutti!

venerdì 21 settembre 2007

Lezione introduttiva

Ciao a tutti, o nuova VB.
Come promesso (e approfittate del fatto che mantengo le promesse, almeno per ora) inizio a far partire la piattaforma web, altresì denominata blog tramite la quale potete scaricare materiale, l'audio di qualche mia spiegazione, degli appunti che vi renderò disponibili o, ad ogni modo, commentare e discutere assieme riguardo gli argomenti svolti a lezione.
Ricordo, quindi, le cose che vi ho detto riguardo un giusto inizio dell'anno:

  1. La presenza, oltre ad essere caldamente consigliata, è una condizione per un buon lavoro: lavoro di studio da parte vostra e di insegnamento da parte mia; permette infatti a voi di seguire un filo logico e a me di non ripetere ogni cosa mille volte;

  2. Quest'anno, almeno per l'insegnamento di pedagogia, è d'obbligo avere il libro di testo. Per Psicologia cercherò di procuravi del materiale io da fotocopiare;

  3. Prendete appunti, tanti! Se serve qualcosa vi detto anche io; abbiate solo l'accortezza di non presentarvi senza niente.

  4. Le interrogazioni, seppur spesso programmate, saranno anche composte dalle semplici domande a inizio lezione e riepilogative di quanto detto negli incontri passati; riguarderanno poi, senza preoccuparci troppo della linearità dell'argomento, ogni aspetto che viene richiamato.


Detto questo, buon lavoro e buon anno scolastico!